Il tòpos del mese
Utopia e Distopia

Storie di mondi ideali e di futuri inquietanti

 

 

Con questa nuova rubrica di Libraccio.it scopri i grandi temi della letteratura che dai grandi classici del passato fino ai bestseller di oggi non smettono di affascinare i lettori.

 

Ogni mese, un nuovo tòpos!

Visioni di mondi impossibili

 

Se si pensa a un archetipo letterario che si è dimostrato capace di attraversare i secoli, influenzando generazioni intere di intellettuali, scrittori e lettori, pochi possono competere con la forza immaginifica e creativa del tòpos dell’utopia e della distopia. Ma da dove nasce questa dicotomia, questa (apparentemente) insanabile contrapposizione?

 

Il termine "utopia" deriva dal greco oú-tòpos (οὐ-τόπος), che significa letteralmente "non-luogo", e sta ad indicare un assetto politico, sociale o religioso che viene proposto come “ideale” e come modello ma che, per definizione, non esiste (per lo meno nel presente).

 

Al contrario, il suo affascinante opposto, la “distopia”, dal greco dys-tòpos (δυς-τόπος), letteralmente “cattivo-luogo”, richiama una realtà oscura, repressiva, spiacevole, indesiderabile e spesso dalle sfumature totalitarie, in cui il sogno di un mondo perfetto si trasforma in un incubo.

 

Dai filosofi dell’antica Grecia agli scenari più cupi della fantascienza moderna, dai grandi classici del Novecento al successo planetario della saga (anche cinematografica) degli Hunger Games, questo duplice tòpos letterario non ha mai smesso di affascinare e catturare il piccolo e il grande pubblico, rispecchiando le speranze e le paure della società e influenzando profondamente il nostro immaginario collettivo.

 

Le origini: l'Utopia come ideale

La Repubblica di Platone

L'utopia di Tommaso Moro

La città del Sole di Tommaso Campanella

Il termine “utopia” nasce dalla mente (anche se sarebbe più corretto dire dalla penna) dell’umanista inglese Tommaso Moro, che nel 1516 con il suo scritto Utopia conia il termine immaginando un’isola abitata da una società perfetta, regolata da principi di equità e giustizia. Ma il sogno di una società ideale è molto più antico: Platone, con La Repubblica, traccia già nel IV secolo a.C. la visione di una città perfettamente organizzata, governata dai sapienti, segnando indelebilmente la storia del pensiero filosofico-politico e dando indirettamente vita ad un altro grande “mito” della letteratura (e poi del cinema), quello di Atlantide.

 

Nel Seicento anche Tommaso Campanella continua a portare avanti questa tradizione di pensiero, dipingendo ne La città del sole, una società armoniosa, fondata sulla condivisione dei beni e della conoscenza. Già con I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift, però, la letteratura utopica prende una svolta satirica, con l’autore irlandese che approfitta dello strumento del romanzo fantastico per smontare con ironia l’idea stessa di “società perfette”, mostrando i limiti dell’eccessiva rigidità ideologica.

 

Insomma, già in queste visioni apparentemente perfette comincia a insinuarsi un’ombra: quanto è grande, in termini di libertà individuale, il prezzo da pagare per ottenere la perfezione? È proprio il tentativo di rispondere a questo interrogativo ad animare i romanzi distopici che hanno stravolto la letteratura moderna.

 

 

Dal sogno all'incubo: i primi romanzi distopici

L'ultimo uomo di Mary Shelley 

Il tallone di ferro di Jack London

Noi di Evgenij Zamjátin

Se già con Swift il fascino dell’utopia cominciava a scricchiolare, è però soltanto nell’Ottocento che, con l’avanzare della società industriale e con l’accelerazione apparentemente inarrestabile del progresso, la distopia inizia a prendere forma.

 

In Parigi nel ventesimo secolo il genio visionario di Jules Verne immagina con inquietante precisione un futuro privo di bellezza dominato dalla tecnologia e dall’alienazione, mentre Mary Shelley con L’ultimo uomo anticipa in modo rivoluzionario il filone post-apocalittico, raccontando un’umanità in via d’estinzione a seguito di una pandemia globale (vi suona familiare, per caso?).

 

Il vero punto di svolta arriva a cavallo del secolo successivo quando il tòpos della distopia assume davvero una forza straordinaria.

 

Jack London ne Il tallone di ferro racconta l’ascesa di un regime totalitario con una visione sorprendentemente profetica, mentre ne La peste scarlatta torna ancora l’elemento apocalittico dei virus e delle pandemie globali. È però forse con Noi di Evgenij Zamjàtin, con la sua critica sferzante del totalitarismo e del conformismo della nascente Unione Sovietica, che il genere distopico entra, per non uscirne mai più, nell’immaginario della grande letteratura.

 

 

Il Novecento: il secolo d'oro della Distopia

1984 di George Orwell

Fahrenheit 451 di Ray Bradbury

Il racconto dell'ancella di Margaret Atwood

L’eredità di questi romanzi e di queste idee viene raccolta e resa definitivamente immortale da Aldous Huxley, che con Il mondo nuovo esplora una società che ha sacrificato la libertà sull’altare del benessere e dell'intrattenimento di massa, e poi da uno degli autori-simbolo del Novecento, George Orwell, che con il suo 1984 dà vita alla distopia totalitaria per eccellenza regalandoci il “mito” (si fa per dire) del Grande Fratello.

 

Gli anni ’50 e ’60 vedono quindi emergere altre grandi opere: Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, che mostrandoci un mondo in cui i libri sono banditi e la conoscenza repressa ci mette in guardia contro il pericolo sempre in agguato della censura; Il pianeta delle scimmie di Pierre Boulle, che ispirerà una delle saghe fantascientifiche più celebri di sempre; e soprattutto i capolavori folli e visionari di Philip K. Dick, da L’uomo nell’alto castello, che immagina un mondo “parallelo” e “alternativo” in cui i nazisti hanno vinto la Seconda guerra mondiale (spunto sfruttato, tra l’altro, anche da Sarban nel romanzo cult Il richiamo del corno) e che di recente è tornato in auge grazie all’omonima Serie TV, a Gli androidi sognano pecore elettriche?, più ampiamente noto con il nome del celeberrimo film a cui ha dato origine: Blade Runner!

 

Negli anni ’80 il tòpos distopico si fonde sempre di più con la fantascienza e contribuisce a dar vita al genere cyberpunk con l’iconico Neuromante di William Gibson, che anticipa un mondo iperconnesso, dominato da hacker, intelligenze artificiali e umanità fittizie, mentre ne Il racconto dell’ancella Margaret Atwood (oggi tornato ad essere celebre grazie ad una serie TV già cult) ci trasporta in un futuro simile in modo preoccupante al nostro presente, controllato da una dittatura teocratica e patriarcale. Il tema della perdita della memoria e del controllo sociale e delle emozioni marca invece il carattere distintivo degli anni ’90 (The Giver di Lois Lowry e L’isola dei senzamemoria di Yoko Ogawa sono degli ottimi esempi), al punto che il premio Nobel portoghese José Saramago, in Cecità trasforma una apocalittica “epidemia di cecità” in un’allegoria delle “malattie” del nostro tempo.

 

 

 

Distopie contemporanee: i bestseller di oggi

Il cerchio di Dave Eggers

Ragazze elettriche di Naomi Alderman

L'alba sulla mietitura di Suzanne Collins

Dal 2000 in poi, la distopia assume i tratti di un vero e proprio fenomeno pop, conquistando anche la narrativa Young Adult e il mainstream diventando il cuore pulsante di saghe (letterarie e cinematografiche) di successo mondiale. Basti pensare a Uglies di Scott Westerfeld, a Divergent di Veronica Roth, a Maze Runner di James Dashner e, soprattutto, a Hunger Games di Suzanne Collins, che con il suo mix di azione, storie d’amore e aspra critica sociale ha dato vita ad una delle serie di libri e di film più amate degli ultimi anni.

 

Il tòpos della distopia, d’altra parte, non smette mai di evolversi, continuando a riflettere i timori più profondi e le inquietudini più angoscianti della nostra epoca. Se è vero che il filone post-apocalittico non smette di catturare con le sue critiche taglienti alla società (ne è un esempio eccezionale la straziante storia padre-figlio raccontata da Cormac McCarthy ne La strada, non ha caso vincitore del Premio Pulitzer nel 2007), Dave Eggers, con Il cerchio ci mette in guardia dal potere sempre più invasivo dei social media e delle aziende Big Tech raccontandoci di un presente alternativo in cui la privacy individuale viene sacrificata sull’altare della sicurezza e del controllo totale. Naomi Alderman, invece, in Ragazze elettriche, immagina una “distopia femminista” nella quale, grazie all’acquisizione di poteri sovrannaturali, le donne riescono a capovolgere le gerarchie maschiliste e patriarcali, replicando però la stessa crudeltà del sistema che volevano distruggere e lasciandoci con una parabola inquietante e lucidissima sul potere e sulle sue perversioni.

 

 

 

Perché amiamo le distopie?

 

Ma, insomma: cosa rende il tòpos della distopia così potente? Forse il fatto che se l’utopia ci permette di sognare mondi perfetti, la distopia ci tiene costantemente con i piedi per terra. Il suo fascino, a ben vedere, sta tutto qui: nel suo essere uno specchio deformante della realtà, un monito travestito da storia d’invenzione, un viaggio in futuri che sembrano lontani…ma che spesso si rivelano inquietantemente vicini.

 

Dai classici della letteratura d’avventura e di formazione alla fantascienza, dal thriller all’horror, la distopia è un genere camaleontico, capace di rinnovarsi e di influenzare cinema, serie TV (Black Mirror vi dice qualcosa?) e persino i videogiochi.

 

Ecco perché continuiamo a divorare questi romanzi: perché ci costringono a guardare in faccia le nostre paure… E se fosse davvero questo il domani che ci attende?