E oggi? Il fascino del tòpos della realtà e del sogno non è sparito. Anzi, spesso quello della “narrativa onirica” è diventato il modo più efficace per raccontare il nostro spaesamento. Il mondo è strano, e la letteratura risponde con storie che sembrano sogni lucidi, sogni interrotti, sogni condivisi.
In Il Grande Magazzino dei Sogni, Mi-ye Lee immagina un luogo dove i sogni si conservano sugli scaffali come oggetti smarriti. È tenero, malinconico e meraviglioso. Come lo è anche La città e le sue mura incerte del mito (già cult) dell’onirico contemporaneo, Haruki Murakami, dove sogno e realtà si sovrappongono come due canzoni in loop: difficile dire dove finisce l’una e inizia l’altra. E che dire poi di Il sogno di Álvaro Enrigue, in cui l’autore messicano intreccia sogno e realtà storica in un romanzo labirintico, ironico, coraggioso e visionario.
Ma la lista dei libri che attingono dal fascino di questo tòpos è ben più lunga. Il giardino magico di Kaho Nashiki, Coraline di Neil Gaiman, La bambina e il sognatore di Dacia Maraini, fino ad arrivare alle atmosfere disturbanti e oscure di Franck Thilliez (Il sogno) e del maestro dell’horror Stephen King (Il bazar dei brutti sogni)
Dove finiscono i sogni (e iniziano i libri)
Tra realtà e sogno, la letteratura non ha mai scelto. Ha fatto di meglio: li ha intrecciati. Ha trasformato il sogno in stile, in visione, in domanda. Perché sognare – e leggere – sono due modi diversi di viaggiare senza muoversi. Due atti rivoluzionari, entrambi necessari.
A ben vedere, la forza di questo tòpos sta tutta qui, nella sua ambiguità: ci permette di evadere, ma anche di guardare più a fondo dentro noi stessi. Dai classici ai contemporanei, tra allucinazioni poetiche, visioni fantascientifiche e magie quotidiane, la letteratura ci ricorda che sognare non equivale a fuggire, ma a guardare il mondo da un’altra prospettiva.
Perché finché ci saranno storie da raccontare, ci saranno sogni da inseguire