L'iperbole
Significato ed esempi nella letteratura

Se nella vita di tutti i giorni ti è mai capitato di uscirtene con espressioni del tipo “Sto morendo di fame”, oppure “Abbiamo aspettato un’eternità” o ancora, magari per manifestare un po’ di ripicca per il comportamento di un amico “Era ora: non ci vediamo da una vita” … beh, sappi che allora hai usato un’iperbole.

 

Tra le figure retoriche più efficaci ed emozionanti in assoluto, quella dell’iperbole è l’arte dell’esagerazione, del superare volutamente i limiti del reale per amplificare un’emozione, un’immagine, un concetto e renderli più intensi, vividi e memorabili.

 

Dal greco hyperbolḗ (ὑπερβολή), a sua volta derivante dal verbo hyperbàllo (ὑπερβάλλω), dal punto di vista etimologico il termine significa letteralmente «gettare oltre» e quindi, per estensione, «superare il limite». È proprio questo, in effetti, ciò che fa l’iperbole: una figura retorica nata per colpire, per spingersi al di là dei confini del possibile, non accontentandosi di descrivere la realtà ma anzi deformandola e ingigantendola (per eccesso o per difetto), trasformandola in un’immagine indimenticabile e capace di evocare emozioni profonde.

 

Conosciuta e utilizzata già nell’antica Grecia (dai poemi epici di Omero agli scritti filosofici di Platone e Aristotele), l’iperbole non ha mai smesso di stupirci. In virtù della sua capacità di amplificare e “giocare” con il linguaggio, infatti, essa è presente in ogni forma di comunicazione: dalla poesia all’arte, dal cinema ai social media (lo stesso linguaggio caricaturale dei “memes” è profondamente iperbolico). Insomma, proprio perché riesce ad essere così universale, l’iperbole si adatta a moltissimi contesti e obiettivi, e può assumere diverse sfumature:


drammatica: per esprimere un dolore o una paura in modo intenso;
enfatica: per sottolineare qualcosa di positivo o grandioso;
ironica: per creare un effetto comico o dissacrante

 

Ma perché l’iperbole funziona così bene? Beh, funziona perché riesce a parlare al cuore: non vuole essere realistica, vuole essere efficace. Quando ce le troviamo davanti, pur capendo subito che non si tratta di espressioni letterali e che, al contrario, ci troviamo davanti a delle evidenti forzature retoriche, spesso ne restiamo comunque impressionati.

 

Come detto, infatti, questa figura retorica non si ferma alla pagina scritta, e per via della sua versatilità la si trova dalle esagerazioni dell’arte barocca (es l’Estasi di Santa Teresa di Gian Lorenzo Bernini) alle “iperboli visive” della Settima Arte (basti pensare alle scene al rallentatore di film come Matrix) così come nel linguaggio esasperato della pubblicità (“...lo smartphone che cambierà la tua vita!”).

 

Esempi di iperbole

Se c’è un campo però in cui l’iperbole si manifesta in tutta la sua forza espressiva, questo è senz’altro quello della letteratura, sia nelle pagine in prosa che nelle pieghe del linguaggio poetico. Pertanto, con l’aiuto di alcuni esempi celebri, approfittiamone per approfondire ulteriormente questa figura retorica, che nelle mani dei grandi autori diventa uno strumento per rappresentare il sublime, l’orrore, il dolore, l’infinito.

 

 

"O frati, - dissi - che per centomila
perigli siete giunti all'occidente;
a questa tanto picciola vigilia
de' nostri sensi ch'è del rimanente,
non vogliate negar l'esperienza,
diretro al sol, del mondo sanza gente...”
(Dante, Inferno, C. XXVI, 112-117)

 

In questo passo, in cui Ulisse esorta i suoi compagni a spingersi oltre i confini conosciuti, Dante si serve dell’iperbole dei “centomila perigli” per rendere “tangibile” la portata straordinaria delle sfide da lui affrontate, sottolineando il coraggio e, allo stesso tempo, la follia di un eroe assurto a simbolo dell’inesauribile desiderio umano di conoscenza.

 

 

"Ondeggiò il sangue per campagna, e corse
come un gran fiume, e dilagò le strade
(L. Ariosto, Orlando furioso - XVIII, CLXII, vv. 3-4)

 

La drammaticità e la ferocia della battaglia viene esaltata in maniera volutamente esagerata da Ariosto, che trasforma lo scorrere del sangue nel moto impetuoso di un “gran fiume”, che squassa e sommerge (“ondeggiò […] dilagò […]”) l’intero paesaggio.

 

 

"Va l'Asia tutta e va l'Europa in guerra…”
(T. Tasso, Gerusalemme liberata, XVI, st. 32, v. 2)

 

In questo verso Tasso amplifica la portata del conflitto crociato, trasformandolo in un evento che coinvolge interi continenti (“[…] l’Asia tutta e […] l’Europa […]”). L’iperbole in questo caso non serve solo a esasperare l’entità della guerra, ma le conferisce anche un’aura in un certo senso cosmica e universale.

 

 

"…giacché la calca era tale, che un granello di miglio, come si suol dire, non sarebbe andato in terra…”
(A. Manzoni, I Promessi Sposi, cap. 12)

 

L’iperbole del “granello di miglio” descrive l’estrema densità della folla durante il tumulto di Milano. L’immagine, chiaramente esagerata, è però utilizzata da Manzoni per trasmettere al lettore la pressione fisica e il caos asfissiante della scena.

 

 

"Come sei più lontana della luna,
ora che sale il giorno
e sulle pietre batte il piede dei cavalli!”
(S. Quasimodo, Ora che sale il giorno, vv. 10-12)

 

In questi versi, Quasimodo si serve dell’iperbole per rappresentare (e, di fatto, visualizzare) l’assenza di una persona amata, paragonandola ad una distanza persino maggiore di quella che divide la Terra dalla luna (“Come sei più lontana della luna […]”), acuendo il senso di perdita e l’incolmabilità della separazione.

 

"È il mio cuore
il paese più straziato
(G. Ungaretti, L’allegria, “San Martino del Carso”, vv. 11-12).

 

Con la brevità tipica dei poetici ermetici e un linguaggio che riecheggia sempre delle cicatrici della guerra, Ungaretti impiega l’iperbole del “paese più straziato” per far assumere al dolore del proprio cuore la dimensione di una devastazione collettiva.

 

 

"Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale"
E. Montale, Satura, Xenia, II 5, v. 1

 

In questa celebre poesia, attraverso l’iperbole del “milione di scale” Montale cerca di dare voce all’immensità del legame e all’incommensurabilità del dolore per la perdita della moglie. Il numero scelto non è che un pretesto retorico: ogni gradino simboleggia il tempo condiviso insieme, ora trasformato in “vuoto” dalla sua assenza.